Numerose sono le riflessioni che scaturiscono dallo studio della storia e delle modalità del portare nelle varie culture. Un libro interessante da cui prendere spunto per questo tipo di analisi è l’opera di Esther Weber “Portare i piccoli”. Quello che emerge nello scoprire i vari modelli di cura dei piccoli nelle epoche passate e nelle varie culture è che “il portare i piccoli” ha il duplice significato di portare per trasportare e di portare come modalità di cura del bambino piccolo.
Il primo aspetto giustifica la motivazione funzionale e pratica del portare, quale la necessità delle culture tradizionali del passato, spesso nomadi, di cacciatori-raccoglitori, di portare con sè i piccoli in un’ottica di protezione dai pericoli ambientali. In molte culture il supporto portabebè tradizionale ha un nome proprio specifico, che rispecchia una cultura del portare. Si possono annoverare ad esempio il Meitai in Cina, il Podeagi in Corea, l’Onbuhimo in Giappone, il Bambaran in Guinea Bissau, il Pagne in Senegal, il Kanga in Kenya, il Kikoy nell’Africa Occidentale costiera, il Bilum in Papua Nuova Guinea, il Selendang in Indonesia, il Rebozo in Messico, l’ Amautik in Alaska (popolazione degli Inuit).
La maggior parte dei portabebè tradizionali sono morbidi e molto adattabili e permettono di portare ” a contatto”. Anche in Europa, fino al tardo Medioevo, portare i bambini sul proprio corpo era una pratica comune e diffusa; nelle raffigurazioni della Sacra Famiglia, ad esempio, emerge questa modalità accettata del portare i piccoli. In un dipinto medioevale di Francken, Gesù Bambino è portato sul fianco dal padre Giuseppe. Anche Giotto rappresenta Maria nella fuga dall’Egitto con Gesù Bambino seduto su un fianco in una fascia corta.
Solo nella seconda metà del XIX secolo nasce in Inghilterra la carrozzina, che diventa presto un simbolo di benessere socio-economico.
Il secondo aspetto del portare -cioè quello che riflette simbolicamente il modello di cura dei piccoli nella società- emerge nell’analisi della differenza di tempo trascorso dalla madre a contatto con i propri piccoli nelle società tradizionali (80-90% del tempo) rispetto a quello trascorso dalle madri con i propri figli nelle società industrializzate (inferiore al 50%). Questi due approcci differenti distinguono il modello di cura ” ad alto contatto” rispetto a quello ” a basso contatto”.
Il modello “ad alto contatto” ha come scopo la protezione della salute dei piccoli, ed è caratterizzato da uno stretto e intenso rapporto fisico tra madre e bambino, che inizia sin dalla nascita. Spesso questo tipo di modello di cura prevede il parto in ambiente domestico, l’allattamento al seno a richiesta, lo stretto contatto genitore-bambino con utilizzo del massaggio, la pratica del babywearing, il cosleeping ed è comune nelle società tradizionali. Il modello ” a basso contatto” ha come scopo quello di insegnare ai bambini a diventare indipendenti dai loro genitori dal punto di vista emotivo e consiste soprattutto in una modalità relazionale basata sull’espressione verbale. La nascita avviene quasi sempre in ambiente altamente medicalizzato, si ricorre per lo più all’allattamento artificiale e al posizionamento dei piccoli in vari tipi di contenitori quali carrozzine, box, girelli, che prevedono una separazione precoce e prolungata nel tempo dal genitore; i bambini vengono abituati precocemente a dormire da soli ed è comune che la cura dei piccoli gravi unicamente sulle spalle della madre, senza il supporto condiviso del partner. In un articolo pubblicato sul Washington Post viene riportato che la vendita dei passeggini a Nairobi, capitale del Kenya, è risultata in un flop, proprio perchè nel modello culturale della società africana si considera questo mezzo un oggetto che allontana il piccolo dalla madre. Il bambino portato, invece, segue la madre ed è avvolto dal suo calore, si sente più sicuro, e quindi più felice.
Nella società occidentale si è passati dalla pratica diffusa del portare all’utilizzo dei cosiddetti “surrogati” quali la culla e la fasciatura (tardo Medioevo), socialmente accettati; il contatto del bimbo con la madre veniva almeno mantenuto nelle ore notturne. Queste consuetudini presupponevano, infatti, ancora una consapevolezza ed un rispetto del bisogno dei bambini di essere contenuti, cullati e tenuti a contatto. Nell’epoca del Rinascimento e, successivamente, dell’industrializzazione, invece, si arrivò a condannare persino l’utilizzo di questi surrogati, quali la culla e la fasciatura, e le madri furono costrette a non dormire più con i loro bimbi. Risale a questo momento la nascita del modello socio-culturale ” a basso contatto” , che ha iniziato a negare ai bambini i loro bisogni primari di contatto, movimento e contenimento. Occorre ricordare che pediatri e scienziati dell’epoca raccomandavano l’abolizione della culla, suggerivano l’importanza di lasciare giù il bambino quando piangeva, di nutrirlo ad ore fisse, di non “viziarlo” con troppe coccole. Sebbene oggi, a livello accademico, in psicologia, in etologia e nelle neuroscienze sia indiscussa l’importanza del contatto corporeo, della relazione viva, del contenimento e della soddisfazione dei bisogni primari dei piccoli per un loro sviluppo ottimale, nella realtà quotidiana il contatto corporeo diretto e continuo col bambino non è scontato nè accettato. Si pensi a frasi come “lascialo giù perchè altrimenti lo vizi”, ” un po’ di pianto non ha mai fatto male a nessuno”; permane, si può dire, una sorta di diffidenza sociale verso un atteggiamento di contatto diretto con i bambini, mentre è stato riammesso nell’approccio di cura dei bambini in Occidente l’utilizzo dei surrogati quali la culla e la fasciatura che simulano il contatto/contenimento.
Ogni cultura ha adottato uno stile di cura dei bambini, finalizzato all’obiettivo che si propone di raggiungere nell’educazione della prole. Si pensi ad esempio al sistema americano di infant care, basato su un precoce addestramento all’indipendenza, che è funzionale a sviluppare precocemente nel bambino l’individualismo e la competizione. Nel suo primo periodo di vita il bambino è maggiormente esposto all’influenza culturale della società in cui vive, per cui, attraverso la modalità di cura dei neonati e attraverso ripetuti stimoli, viene insegnato ai piccoli a vivere seguendo le aspettative della società di riferimento. Al bambino in Occidente è richiesta l’autonomia precoce dal punto di vista emotivo, mentre per l’adulto sono fondamentali nella società l’individualità, la competitività e l’essere “un buon consumatore”. Il modello” a basso contatto” dovrebbe essere funzionale a raggiungere tali obbiettivi. La generazione nata negli anni’60-’70 ha subito in modo radicale il modello “a basso contatto” (separazione madre-figlio, allattamento artificiale, abitudine a piangere da soli nella cameretta, per non prendere il “vizio di stare in braccio”). Questo ha portato ad una autonomia precoce ed eccessiva nella prima infanzia, ma ha favorito lo sviluppo di sentimenti di abbandono primario, di sfiducia nell’altro e un grande senso di solitudine. La domanda che sorge naturale è quindi se la spinta all’autonomia precoce porti all’indipendenza o se, viceversa, abbia conseguenze opposte. E’ stato rilevato che i bambini “portati”, proprio per il loro grado massimo di soddisfazione dei bisogni primari, attraverso il continuo e stretto contatto col genitore, risultano più sicuri e successivamente sviluppano una maggiore indipendenza emotiva e sicurezza rispetto all’ambiente circostante; viceversa, i bambini, che hanno subito il modello di cura “a basso contatto”, richiedono costantemente la figura genitoriale con atteggiamenti di pianto continuo, spesso inconsolabile e con maggiore difficoltà a sviluppare un’autonomia emotiva e una stabilità comportamentale. Osservazioni e studi di etologia, infatti, hanno rilevato che l’adulto occidentale è tutt’altro che un essere autonomo ed indipendente. Un terapista corporeo, Willi Maurer, afferma che la maggior parte delle persone della nostra cultura portano dentro di sè , anche se inconsapevolmente, la paura di essere abbandonati. Il senso dell’abbandono poi viene placato con surrogati simbolici inizialmente rappresentati da ciuccio, biberon, giocattoli, successivamente dai dolci, dalle sigarette, dalla droga, dall’alcool, dai farmaci e da abitudini di consumo compulsivo (tratto da ” Zugehoerigkeit” di Willi Maurer). Citando Asperger, la società occidentale andrebbe verso una crescente rapida perdita dei comportamenti istintivi.
E’ auspicabile quindi che l’Occidente rifletta sull’importanza che può esercitare, sullo sviluppo affettivo ed emotivo dei piccoli, un approccio differente di cura degli stessi, che potrebbe modificare valori sociali acquisiti e ridefinire gli aspetti relazionali primordiali del rapporto genitore-bambino in una ritrovata ottica di empatia, di vicinanza, di condivisione, di ascolto, e di Amore.